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I genitori dei bambini allergici soffrono anche loro di allergie?

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È risaputo che l’anamnesi familiare (la storia delle patologie riscontrate all’interno della famiglia) fornisce al medico un quadro più completo sullo stato di salute del paziente stesso (ad esempio, le patologie cardiache sono frequentemente riscontrate “di padre in figlio”). Lo stesso vale ovviamente, per le allergie e le intolleranze, in particolare per quelle alimentari.
Ma un recente studio dell’ACAAI (la società scientifica allergologica americana) sembrerebbe aver individuato una tendenza dei genitori di bambini con allergie alimentari a sovrastimare precedenti reazioni ad un alimento e a considerarsi allergici al pari dei figli.
La ricerca è stata svolta su un campione di circa 2500 genitori i cui figli presentano un’allergia alimentare (i rispondenti sono stati scelti all’interno di cliniche ospedaliere). Il 13,7% si è definito allergico ad un alimento, ma di questi, al momento di analisi approfondite, solo il 28% ha presentato una reale allergia.
Secondo l’ACAAI questo può avere due spiegazioni. O i soggetti in questione non hanno mai effettuato il test prima e hanno dedotto la loro allergia semplicemente da una reazione avuta dopo aver consumato un particolare cibo. Oppure, il test è stato effettuato in modo non preciso.
Allo stesso modo, tra i genitori che dichiarano di non aver alcuna allergia alimentare, il 14% è invece risultato positivo alle arachidi e al sesamo (tra gli alimenti più allergizzanti).
Insomma, anche se i prick test e gli esami del sangue (dosaggio delle IgE) hanno dato risultati positivi, si è trattato “probabilmente” di falsi positivi.
L’indicazione che esce da questa ricerca è quella di porre una particolare attenzione al momento del test, che va effettuato nella maniera più corretta possibile, per evitare risultati sbagliati o inutilizzabili.
Sempre secondo l’ACAAI, i test cutanei e l’analisi del sangue possono dimostrare una sensibilizzazione ad un alimento. Ma essere sensibilizzati ad un alimento non significa essere allergici. Il test, inoltre, non può indicare l’allergia ad un alimento se il paziente non lo ha mai consumato. Lo standard migliore per individuare un’allergia rimane quindi il test di provocazione orale: somministrazione orale di un alimento in un soggetto, eseguita sotto controllo medico, in modo standardizzato e controllato.
A questo proposito, anche l’Accademia Europea di Allergologia ed Immunologia Clinica (EAACI) ha recentemente prodotto un documento che raccomanda una corretta interpretazione dei test allergologici, siano questi cutanei o su sangue. Perché – ancora una volta – un test positivo non significa necessariamente allergia.

Questo il link al documento al quale ho avuto il piacere di contribuire.

Dr. Filippo Fassio

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Allergologo, appassionato di allergologia e Allergy Blogger. Lavoro tra Firenze, Pistoia e Lucca. E cerco di fare del mio meglio per arrivare sempre alla soluzione del problema!
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